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“IL RICORDO È UNA FORMA DI INCONTRO” (Khalil Gibran)

La vera storia ...

Era il lontano inverno 1969 ed io, al tempo giovane allenatore, toccavo il cielo con un dito perché mi aveva ingaggiato la mitica Ignis Varese per allenare la squadra Juniores. A quel tempo ero il primo piemontese d.o.c. che riusciva ad uscire dai confini, dopo una bella manciata di titoli regionali giovanili consecutivamente conquistati con la mia alma mater, la Crocetta Torino.
A Varese, primo anno dell’era del professore Aza Nikolic, le cose procedevano bene per tutti, quando mi fissano un esame universitario a Torino alle ore 17.00 di un lunedì nella sessione di febbraio: così la settimana seguente non avrei potuto condurre l’allenamento del pomeriggio. Il compianto General Manager Giancarlo Gualco mi sprona a parlarne direttamente con il “Professore di Bosnia”, per farmi sostituire da Lui.
A dire il vero, nonostante la comune frequentazione di palasport e di palestre, e lunghe chiacchierate tecniche (strappate davanti alle slot machine del “Club” di via Cairoli 13) tra una leggenda che cammina e uno appena uscito di casa, mi vergognavo come un ladro a chiedere quel favore, perché la distanza interpersonale era abissale; ma il venerdì vado dal Professore e gli espongo timidamente i fatti. Prima risposta: “Nema problema! Io faccio allenamento con “juniori”. Su cosa stai lavorando? “
“Beh, Professore... sto facendo esercizi sul contropiede... e poi ....”
Scatta subito la seconda severa replica del Professor Nikolic: “Boero, con tutto che sai, devi imparare a fare programma: programma di anno, poi di mese, poi di giorno! ... “
Ora che ci penso, era come dicesse; ehi, giovane, riaccendi il cervello. Una forte scossa per uno come me che aveva già superato tutti i corsi e clinic nazionali di ogni livello, e che non si era mai soffermato sulla parola programmazione, semplicemente perché essa non faceva parte dell’orizzonte di strumenti tecnici considerati importanti dalla “via italiana al basket” che si andava delineando, proprio a partire da quei mitici anni settanta.
Da quel giorno di 50 anni fa quella frase è rimasta scolpita, e mi è cresciuta addosso la convinzione che tutti noi allenatori avremmo dovuto imboccare quei binari dai quali sarebbe stato poi difficile deviare, specialmente nei differenti livelli delle categorie del settore giovanile. Lo avrei capito negli anni, da solo, confrontandomi con le eccentriche varianti del basket giovanile.
Oggi – a tirolo personale – provo a interpretare meglio quell’insegnamento: come puoi credere tu, coach, che il giocatore capisca e segua le tue preziose indicazioni tecniche se al primo tentativo di tiro gli dici: “spezza il polso”, al secondo “stendi il braccio”, al terzo “piega le gambe” al successivo “ricadi in equilibrio” e, da ultimo, “allarga le dita”? In virtù di quale principio pedagogico lo bombardiamo con tanti stimoli tecnici?
Non dobbiamo pretendere tutto e subito e neppure offrire tutte le soluzioni precotte, pre-digerite e premasticate. Le nostre palestre non sono dei McDonald dove una bibita gassata fa digerire tutto, ma più spesso devono assomigliare a uno slow-food, dove si rimodellano programmi e allenamenti con una stesura informata, organica, progressiva e sempre migliorabile; con un orientamento didattico consapevole che accompagni un modello di pallacanestro giovanile chiaro, trasferibile, condivisibile e coerente con le proprie idee ed esperienze.
I protocolli di lavoro che troverete sono un insieme di concetti guida, comportamenti tecnico-organizzativi e di norme che - a priori - regolano e definiscono i tempi di sviluppo e la progressività, le modalità dell’insegnamento dei fondamentali del basket. Un cammino che consenta e favorisca la comunicazione e l’interazione tra un gruppo-squadra, il precedente e il successivo, senza soluzione di continuità all’interno di un club sportivo, affinché non vengano mai a mancare sinergie e confronti.
I protocolli analizzano un sistema di concetti sviluppati in forma semplice e progressiva basato sull’esperienza concreta; definiscono le modalità di azione pratica sul campo, e spero rendano sempre più pertinenti i programmi di lavoro che si vanno sviluppando nei settori giovanili affrontando temi che saranno altrettanti valori aggiunti per il completamento del training di ogni singola persona.
La semplicità e la progressività del metodo di lavoro sono la vera risorsa per il futuro dei nostri giovani giocatori.
Ma non dimentichiamo che nessun programma di lavoro può essere strutturato sul ritmo di crescita, né sulle capacità individuali del singolo giocatore, ma solo sulle caratteristiche medie di quella fascia di età. Dunque, la progettazione ed i programmi che seguono non tengono conto della valutazione dei fattori di variabilità dei singoli ragazzi-giocatori. Ne consegue che questo non è un libro di “sapere confezionato”, ma una raccolta di strumenti per comprendere; in quanto capire significa soprattutto cercare di anticipare o risolvere problemi, sempre formulando proposte ed attività in base alle reali capacità degli allievi e con lo sguardo proiettato al loro futuro.
Tutto questo tempo è servito ad accrescere la conoscenza, ad accorgersi inesorabilmente che nel nostro Paese e nei settori giovanili, si procede e/o si tira avanti solo per passione e per mecenatismo di pochi; non certo per cultura o programmazione supportata da enti o strutture o investimenti.
La crisi non è del basket, ma è nel basket e nelle sue strutture burocratiche, nella scelta delle persone e del lacunoso riconoscimento del merito.
Nel 2014 l’Italia è scesa al 16° posto nel ranking europeo, ed al 36° in quello mondiale, dieci anni dopo l’argento di Atene nel 2004. Per spiegarmi meglio, dall’applicazione della “legge 91 sul professionismo”, ovvero in oltre vent’anni, si è assistito ad un mesto declino. Ventitré club di vertice hanno chiuso i battenti per motivi economici, (un club di vertice è stato dichiarato fallito cinque volte negli ultimi sette anni) ed un numero imprecisato di club minori sono spariti nel nulla, facendo perdere terreno al reclutamento del basket maschile (e femminile, ridotto ormai ad un movimento “bonsai”). Solo trecidi anni più tardi, nel Febbraio del 2019, coach Meo Sacchetti con i suoi valorosi giocatori ci hanno finalmente riscattati, regalandoci il sogno di partecipare ancora ai Campionati Mondiali che si svolgerranno in Cina nei mesi di Agosto – Settembre 2019.
Ma i settori giovanili non hanno sofferto di una perdita di peso specifico, e ne fanno fede gli ottimi risultati internazionali ottenuti negli ultimi anni dai quindicenni–diciottenni italiani.
Così il tempo, i ricordi, le vittorie, le perfidie, le vendette richieste e consumate, i rancori, le cadute e le resurrezioni, le diffidenze, le crisi e gli insuccessi servono pure a non smarrire quel lieve distacco dalle emozioni che solitamente accompagna chi agisce in un mondo dove tutto nasce e diventa rapidamente precario, ivi compresa l’età di un esordiente o di un “Under”, o il valore di una Persona, o un titolo italiano, o l’ultima posizione nel girone provinciale.
Buon lavoro a tutti.

Bruno Boero

“La programmazione e i fondamentali sono le divinità del basket: non hanno allenatori o giocatori favoriti, e sono sempre loro a decidere la sorte di ogni giocatore di questo sport.”
Tex Winter
(1922 – 2018)
(Assistente di Chicago Bulls e Los Angeles Lakers dal 1985 al 2007, inventore dell'attacco triangolo, ed assistente di coach Phil Jackson per 20 anni)

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